Edward Moor

Sole Liquido

Un ricercatore può liberare il mondo dalla schiavitù del petrolio,

ma troppe organizzazioni perderebbero il potere…

 

(pp. 320; 14,00 euro; ISBN 88-89621-06-00)

 

 

È finalmente disponibile anche in Italia il libro di Edward Moor

SOLE LIQUIDO

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ANTICIPIAMO IL SAGGIO INTRODUTTIVO DEL CURATORE ITALIANO DI « SOLE LIQUIDO »

 

 

 

LA FINE DELLE PIETRE

 

C’è qualcosa di magico intorno a noi: il sole e la corrente elettrica…

una presentazione dei temi affrontati in «Sole Liquido»

 

di E. Del Moro

 

 

La frase completa, pronunciata dallo sceicco Ahmed Zaki Yamani, classe 1930, ex ministro del petrolio in Arabia Saudita e presidente del Centre for Global Energy Studies di Londra, in un’intervista concessa all’agenzia Reuters nel 2000 recita: “Nei prossimi trenta anni ci sarà una grande disponibilità  di petrolio e nessun compratore. Il petrolio sarà lasciato sotto terra. L’età della pietra non finì perché ci fu una mancanza di pietre, così l’età del petrolio non finirà perché mancherà il petrolio”.

 

 

 

 

È evidente a tutti che il sole trasferisce sul nostro pianeta una enorme quantità di energia, ma volendo essere un po’ più precisi possiamo dire che si tratta di quasi 20.000 miliardi di TEP/anno. Quando ci si occupa di tali grandezze bisogna essere fantasiosi con le unità di misura: 1 TEP è una Tonnellata Equivalente di Petrolio, l’energia che si genera bruciandola. Ve lo potete immaginare, è una montagna di energia.

 

L’idea di sfruttare questa enorme quantità di energia per ricavarne lavoro non è in realtà molto originale dato che alimenta da sempre i sogni e le fantasie di una quantità di studiosi, inventori e filosofi che hanno partorito, nei secoli, ogni sorta di bizzarrie.

 

Potremmo cominciare citando i famosi specchi ustori con cui Archimede avrebbe distrutto le galere romane del console Marcello che assediavano Siracusa durante la seconda guerra punica, più o meno nel lontano 200 a.C. È vero che questa è una storia che sa poco di storia e molto di leggenda - più che altro per la poca affidabilità degli scrittori che ce ne danno traccia – tuttavia un professore del mitico M.I.T (Massachussetts Institute of Techology) ha recentemente dimostrato con un esperimento pratico che la cosa è possibile.

 

Possiamo invece ritenere più credibili i riferimenti che ci dicono che già nel II secolo d.C. un certo Erone di Alessandria avrebbe realizzato una fontana nella quale il movimento dell’acqua era prodotto da un sistema che riscaldava aria grazie al sole, e questa aria calda dilatandosi imprimeva il moto all’acqua. Questa informazione è anch’essa un po’ vaga, ma pare che ci siano tracce credibili di documenti che la descrivono.

 

A partire dal XVII secolo abbiamo invece una certa quantità di documentazione abbastanza affidabile di vari progetti e realizzazioni di motori e pompe a energia solare, ossia basati in vario modo sul riscaldamento prodotto dall’esposizione ai raggi del sole. Cose varie e curiose, ma tutto sommato di poca utilità.

 

Nella prima metà del novecento invece si cominciò davvero a prendere la faccenda sul serio e comparvero i primi progetti sensati che sfruttavano utilmente l’energia solare. In particolare alcuni professori universitari misero a punto vari motori solari nei quali una turbina era mossa facendo evaporare, grazie al calore del sole, vari tipi di fluidi (ad esempio anidride solforosa) e poi raffreddandoli in un refrigeratore, all’interno di un circuito chiuso. Questo è già il principio su cui si basano ancora oggi le moderne centrali di produzione dell’energia: evaporazione grazie ad una sorgente di calore e successiva condensazione a temperatura inferiore. Le centrali normali utilizzano in genere combustibili fossili o nucleari per generare la sorgente di calore ma l’energia del sole, se concentrata, è in grado di fare la stessa cosa.

 

Teoricamente è piuttosto facile produrre energia meccanica – e da questa ricavare poi energia elettrica – ovunque si disponga di una differenza di “qualcosa”: altezza, pressione, temperatura eccetera, in pratica ogni qualvolta due sistemi hanno livelli diversi di energia potenziale.

Nel caso di una differenza di temperatura la macchina che fa questo è concettualmente piuttosto semplice: in un circuito chiuso viene fatto girare un fluido che in virtù del calore evapora aumentando la sua pressione e di conseguenza anche la sua temperatura. Questo vapore caldo e in pressione viene poi fatto espandere – e quindi raffreddare e condensare- in una turbina, e questa espansione si traduce in un’azione meccanica che fa girare le pale della turbina stessa.

 

Carnot ha dimostrato con un famoso teorema che porta il suo nome che più è ampia la differenza tra le due temperature, maggiore sarà il rendimento della macchina e, in particolare, il rendimento teorico è calcolabile in modo esatto come uno meno il rapporto tra le due temperature. È chiaro che se le due temperature sono uguali il loro rapporto è pari a uno, quindi uno meno uno fa zero e il rendimento è nullo perciò quella macchina non serve a niente.

Se invece la temperatura bassa è molto minore di quella alta il rapporto tra le due è una frazione molto piccola da sottrarre all’unità, quindi il rendimento cresce. Nell’ipotesi che la temperatura della sorgente calda fosse altissima e quella della bassa fosse bassissima il rapporto tra le due sarebbe praticamente zero, così il rendimento sarebbe praticamente uno, ossia il 100%.

Purtroppo ci sono altri teoremi che ci dicono che questo è impossibile: nessuna macchina reale può avere un rendimento pari al 100% perché nessuna temperatura può essere infinita così come, d’altra parte, è impossibile abbassare una temperatura fino allo zero assoluto, ma questa è un’altra storia.

Nella nostra storia invece, quella raccontata dall’autore in questo libro, il teorema di Carnot è qualcosa che apparentemente sembra preso in poca considerazione: il libro parla di un motore che funziona sottraendo energia termica, ossia calore, dall’ambiente. L’obiezione nasce quindi spontanea: come si può pensare di ricavare calore dall’ambiente, che sarebbe la sorgente calda, senza avere una fonte fredda? L’autore se la sbriga con alcune ipotesi ardite, in particolare la sorgente fredda sarebbe fornita da un contenitore in cui viene fatta evaporare dell’acqua grazie una speciale superficie porosa e semipermeabile, in modo da dissipare calore e quindi abbassare la temperatura. In questo modo ci sarebbe una vasca di acqua più fredda della temperatura esterna dove far condensare il fluido.

A quanto pare questo processo di raffreddamento tramite evaporazione, che è poi il modo in cui il nostro corpo dissipa il calore in eccesso quando sudiamo, è noto e utilizzato da sempre dai contadini siciliani che tengono l’acqua da bere in alcuni contenitori in terracotta detti “bummuli”: se i bummuli sono ben cotti e la terracotta è porosa al punto giusto l’acqua si raffredda, grazie all’evaporazione, anche se nell’ambiente esterno fa molto caldo, cosa non rara nella nostra Trinacria.

È pur vero che l’evaporazione di un litro d’acqua dissipa 600 chilocalorie, ma questo è sufficiente? Secondo l’autore si, quindi la differenza tra la temperatura dell’ambiente esterno e quella della sorgente fredda consente il ciclo di evaporazione e condensazione del fluido e quindi la rotazione della turbina.

È un’ipotesi fantasiosa e questo è solo un romanzo, ma forse potrà stimolare qualche esperto di termodinamica.

 

L’automobile ecologica del futuro, descritta dall’autore, sarebbe tuttavia un’automobile elettrica, ma come si fa ad ottenere elettricità da una turbina che gira sul suo asse?

È facile, quando abbiamo un asse che gira il problema di ottenere energia elettrica è praticamente risolto: basta collegare meccanicamente l’asse della turbina a quello di una dinamo.

Cos’è una dinamo? Per farla semplice, qualcosa costruito più o meno come quelle che si usano sulle biciclette, che girano perché sono appoggiate alla ruota della bici e dalle quali esce, miracolosamente, la corrente che fa andare la lampadina del fanale. Forse adesso non si usano più molto, è più comodo comprare una pila, però la dinamo è certamente più ecologica. Nelle vecchie bici ci sono ancora.

 

Ma come fa la dinamo a produrre energia elettrica?

La dinamo è una macchina ancora più semplice di quella descritta prima, non fa altro che muovere un campo magnetico, ad esempio quello di una comune calamita, all’interno di un avvolgimento di spire di filo elettrico: la variazione del campo magnetico dovuta al movimento della calamita induce una variazione del campo elettrico nel filo, e questo è solo un modo complicato per dire che in pratica si genera una corrente elettrica. Naturalmente funziona anche al contrario, ossia muovendo una spirale di filo in prossimità di un campo magnetico che sta fermo, quello che conta è il moto relativo.

Come vi potete aspettare la funzione della dinamo nelle attuali centrali di produzione dell’energia è realizzata con qualcosa di un po’ più complicato, ma il principio è e resta quello.

 

Ma perché muovendo una calamita vicino a un filo elettrico si genera una corrente elettrica nel filo?

Va bene adesso non addentriamoci troppo, altrimenti la cosa si fa noiosa. E poi il magnetismo ha qualcosa di magico, no?

 

Torniamo al sole e alle energie alternative di cui si parla nel libro: anche l’energia eolica, in realtà, non è altro che una forma derivata di energia solare: è il sole che riscalda l’aria, l’aria riscaldata si dilata, diventa più leggera quindi si sposta verso l’alto. Ma dato che la natura aborre il vuoto, se l’aria calda si sposta verso l’alto il suo posto viene subito riempito da altra aria più fredda, e questo spostamento d’aria che corre da un posto all’altro per riempire il vuoto lasciato dall’aria che è volata in alto è, in pratica, il vento.

Se sulla sua strada il vento incontra un ostacolo lo spinge, e se questo ostacolo non è proprio perpendicolare alla sua direzione ma è inclinato, come ad esempio le pale di un generatore eolico, il vento non le spinge in avanti ma le sposta di lato facendole ruotare.

Anche questa non è un’idea originale, sono secoli che i mulini a vento funzionano così.

È solo cambiato l’uso che si fa di questa energia cinetica ceduta dal vento al mulino:

una volta l’asse rotante del mulino serviva a muovere grosse pietre che macinavano il grano, oggi l’asse che gira, collegato alla dinamo di cui sopra, produce corrente elettrica. Che magari viene usata per far funzionare una macchina che alla fine macina il grano, ma questa è un’altra storia.

 

Tuttavia ai nostri tempi qualcosa di nuovo si è pure inventato, non sono tutte idee vecchie: l’invenzione più pregnante dei tempi moderni è certamente il semiconduttore. Tutto ciò che è elettronico funziona utilizzando il principio del semiconduttore, e se pensate anche solo ai computer e ai cellulari avete capito cosa intendo con invenzione pregnante.

 

Ma i semiconduttori oltre a far andare i cellulari hanno anche un’altra caratteristica interessante: quando sono colpiti da un raggio di sole producono un schizzetto di corrente elettrica. È il fotone che libera un elettrone eccetera, ma questo è poco interessante.

Il fatto interessante è che così facendo al giorno d’oggi non c’è neanche più bisogno di un macchinario meccanico che gira attaccato a una dinamo per ricavare energia elettrica dal sole: quando gli atomi dei diodi semiconduttori che costituiscono il pannello fotovoltaico sono colpiti dalla radiazione solare liberano degli elettroni che quindi, tutti insieme, creano una corrente elettrica. Niente che gira, niente calamita, niente di niente: solo pannello fotovoltaico e sole, e da lì miracolosamente viene fuori la corrente elettrica.

Poca roba eh, non pensate neanche lontanamente di farci andare il frigorifero di casa: corrente continua, bassa tensione, amperaggio modesto, ma insomma una lampadina a 12 volt si accende davvero.

Se poi il pannello è bello grande, o magari è un insieme di pannelli, voi li collegate a una batteria da camion e ci mettete un inverter allora ne ricavate anche i 220 volt a corrente alternata a cui siamo tutti abituati, qui da noi, quelli che troviamo in una qualsiasi presa di casa.

Far andare il frigorifero resta comunque una questione spinosa, ma per il televisore non c’è problema.

 

A dire il vero, per molti utilizzi pratici ci basta un sistema ancora più semplice per sfruttare l’energia solare: se mettiamo un tubo nero pieno d’acqua sotto un vetro, l’energia del sole ce la riscalderà quanto basta per una bella doccia calda. Se poi il tubo è lungo, sfrutta un serbatoio, sta in una scatola vetrata e riflettente, insomma se vi date un po’ da fare potete anche ottenere abbastanza acqua sufficientemente calda per riscaldare un ambiente. Non a Oslo in gennaio, questo è chiaro, però insomma con un po’ di applicazione qui da noi qualcosa si può fare.

 

Questi ultimi due esempi di utilizzo del calore del sole però patiscono sostanzialmente delle due gravi limitazioni intrinseche dell’energia solare, quando utilizzata direttamente: la sua discontinuità temporale e la bassa densità specifica di potenza.

Detto in altre parole, prima di tutto l’energia solare è pienamente disponibile solo quando “c’è il sole” – e per questo vi ho detto di attaccarci una batteria da camion, diversamente di sera la TV non va – e in secondo luogo, anche in pieno sole l’energia che incide su un pannello di un metro quadro è proprio pochina.

 

Il primo problema sembra banale ma invece è un problema serio perché accumulare l’energia non è cosa da poco, se si vuol fare le cose bene e soprattutto in modo ecologico: la batteria da camion che ho qui citato, ad esempio, non è un oggettino molto ecologico, specie se pensate di abbandonarla in un campo, come fa qualcuno, anziché smaltirla correttamente.

 

Il secondo problema sembra contraddire l’affermazione con cui esordisce questa introduzione, ossia che il sole produce una quantità enorme di energia. In realtà non c’è contraddizione: l’energia solare è veramente enorme, non c’è dubbio, ma altrettanto enorme è la superficie del pianeta su cui essa incide, ossia tutta l’acqua e la terra su cui questa energia fa a finire. Facendo le dovute divisioni tra queste due enormità si ottiene la potenza solare per metro quadro che, convenzionalmente, si considera essere 1 KW in pieno sole. Convenzionalmente, ma in realtà di solito è anche meno, quindi proprio pochino, appunto.

 

Per avere un’idea di quanto è 1 KW basta pensare che il minimo della potenza che viene erogata dal contatore che abbiamo tutti in casa è di 3 KW, e se facciamo andare insieme il tostapane, l’asciugacapelli e la lavastoviglie l’interruttore magnetotermico scatta perché 3 KW non bastano, quindi regolatevi voi.

Bisogna poi anche considerare che non siamo affatto capaci di utilizzare per intero quel singolo chilowatt che in teoria il sole ci darebbe per ogni metro quadrato: i pannelli fotovoltaici migliori ne sprecano non meno dell’80%, quindi quello che ci resta è la quinta parte di un pochino. Morale, per far andare il tostapane insieme alla lavastoviglie e all’asciugacapelli bisogna tappezzare il tetto di casa di pannelli solari. E dato che il tostapane lo usiamo di mattina ma vorremmo magari far andare la lavastoviglie anche di sera, quando il sole non c’è più, allora ci vuole la batteria da camion che ci restituisca di notte quello che gli abbiamo fornito di giorno. Meglio un bel numero di batterie da camion in parallelo…

Ma comunque, come dicevo sopra, far andare il frigorifero resta una questione spinosa.

 

È evidente che non possiamo rivestire tutto il pianeta di celle solari, quindi dobbiamo rassegnarci: la maggior parte dell’energia solare viene di fatto dispersa nell’ambiente, riscaldandolo. Il che non è poi tanto male, di per sé, a meno di abitare a Lagos, in Nigeria, o a Bangkok, in Tailandia.

 

È proprio questa l’idea di base dell’autore del libro, il concetto di “energia solare ambientale”, ossia tutta l’energia che il sole immette in una certa area e la trasferisce all’ambiente: troppa all’equatore, troppo poca ai poli.

Pensando all’amico Carnot e al suo famoso teorema, questa è una discreta differenza termica, ci si potrebbe fare qualcosa.

Dimenticatelo, poli ed equatore sono troppo lontani per costruire una macchina che sfrutti questa differenza termica, che poi in definitiva non è neppure così grande, se ci pensate: meno di 100 gradi centigradi, una bazzecola. La benzina che bruciamo nei motori delle nostre auto produce, all’interno del cilindro, temperature di gran lunga superiori.

 

Però c’è un’altra differenza termica ambientale che qualcuno ha realmente pensato di utilizzare: quella del mare. Il sole scalda l’acqua in superficie e l’acqua stessa è un ottimo accumulatore di calore, infatti di notte resta più calda della terra, e ha una superficie esposta al sole che è enorme, basti pensare che è sette volte superiore a quella della terra.

Il mare in superficie quindi è caldo, specie ai tropici, ma sul fondo è sempre freddo. Non freddissimo, certo, in teoria non potrebbe neanche ghiacciare: quando la temperatura scende sotto i 4 gradi centigradi l’acqua diventa più leggera e sale in superficie, quindi sul fondo del mare non possiamo scendere molto di temperatura, però insomma una ventina di gradi di salto termico, tra sopra e sotto, ce l’abbiamo, e le due fonti termiche – quella calda in superficie e quella fredda sul fondo – distano solo qualche centinaio di metri. Si può fare.

 

L’idea di sfruttare questa differenza di temperatura non è nuova, già nel 1881 un certo D’Arsonval ci aveva pensato.

Qualcuno ci provò nel 1930: un certo ingegnere francese, Georges Claude, al largo di Cuba, ma con scarso successo.

Nel 1966 Hilbert e James Anderson pubblicarono un progetto di questo genere su una rivista scientifica (Mechanical Engineering) e in questo caso facevano sul serio: si parlava di una centrale da 100MW che non era poco, soprattutto per allora.

Da allora tuttavia la cosa è rimasta di grande interesse teorico ma di difficile realizzazione dal punto di vista tecnico.

 

Il principio alla base però è estremamente significativo ed è quello che l’autore vuole mettere in evidenza nel suo libro: in questo caso l’energia solare viene considerata come energia ambientale, ossia energia che, proveniente dal sole, è disponibile distribuita nell’intero ambiente, che in quel caso – nel progetto degli Anderson - è l’ambiente marino.

Nel 1977 un professore del Politecnico di Milano (Emilio Cometta) scriveva in un suo libro che l’energia ricavata dall’abbassamento di un solo grado centigrado della temperatura superficiale dei mari tropicali corrisponde a tutta l’energia elettrica consumata, in quegli anni, dagli Stati Uniti d’America.

 

E l’aria? Anche l’aria è ricca di energia ambientale, è calda dove c’è il sole, anche più calda dell’acqua dei Caraibi: ma allora quando picchia il sole possiamo ricavare energia direttamente dall’aria calda?

Non direttamente; come ho detto prima ci serve, oltre ad un sorgente calda, anche una sorgente fredda, perché è la differenza di temperatura che consente alla macchina di produrre lavoro.

La differenza.

Bisognerebbe avere aria calda, acqua fredda, e dei sistemi di conduzione del calore veramente molto efficienti.

Nel suo libro infatti l’autore ipotizza l’utilizzo di un superconduttore di calore, qualcosa che sta al calore come i superconduttori di corrente stanno all’energia elettrica, solo che i secondi esistono davvero mentre il primo, a quanto si sa, in realtà non esiste ancora e forse non esisterà mai.

Anche questa è un’ipotesi fantasiosa e questo resta sempre solo un romanzo, ma forse potrà stimolare qualche esperto di leghe metalliche.

Mentre per la sorgente fredda l’autore utilizzerebbe una membrana semipermeabile particolare, una versione tecnologica ed evoluta della terracotta dei bummuli di cui sopra, così da far evaporare l’acqua all’esterno e sottrarre calore all’interno, in modo da condensare il fluido precedentemente evaporato a monte della turbina.

 

Con questi trucchi l’autore costruisce, tramite il racconto del suo progettista e interprete principale della vicenda, una vettura che in pratica non consuma altro che l’acqua che usa per raffreddare e genera l’energia elettrica che gli serve per funzionare assorbendo calore dall’ambiente esterno. Praticamente un’auto elettrica che non impiega alcun combustibile ma raccoglie l’energia termica che il sole disperde nell’ambiente e la trasforma in corrente elettrica.

 

È chiaro che mettere in vendita una vettura del genere porterebbe un’enorme scompiglio nel mercato, dato che vorremmo tutti un’automobile che va a sole, aria e acqua – anche piovana - ma di certo non sarebbero contenti i costruttori di automobili tradizionali e, soprattutto, i fornitori di combustibile.

La benzina, il gasolio, il metano, il GPL: sono sostanzialmente questi i combustibili che si usano per l’autotrazione; sono tutti fossili e, direttamente o indirettamente, legati al petrolio.

Se tutte le auto del mondo andassero grazie al calore ambientale, come ipotizzato dall’autore, allora tutto il business della filiera legata al petrolio, dall’estrazione alla vendita di benzina alla pompa, ne sarebbe sconvolto.

Da qui nasce la trama del libro: c’è evidentemente qualcuno che ha enormi interessi nel business legato al petrolio e che quindi non ha alcuna intenzione di permettere che una cosa del genere accada perché il suo business, i suoi folgoranti utili e in definitiva il suo potere verrebbero praticamente azzerati.

E d’altra parte c’è qualcun altro che invece sarebbe entusiasta se questa ipotetica auto ad energia ambientale comparisse sul mercato, e non solo per motivi ecologici ed etici: l’annullamento del potere legato al controllo del petrolio consentirebbe l’affermarsi di altri tipi di poteri.

Da questo scontro di poteri nasce il conflitto che anima la trama romanzesca del libro, dove non mancano spari, esplosioni, attentati e morti ammazzati, la lotta per il potere e le sue vittime sacrificali.

Ma tutte le rocambolesche vicende che interessano gli interpreti della storia e tutte le ipotesi tecnico-scientifiche che vengono animatamente discusse non sono altro che un pretesto per inquadrare i concetti generali legati alle energie alternative, alle fonti rinnovabili, ai problemi climatici, e introdurre l’accezione dell’energia solare come “fonte energetica ambientale”.

L’autore quindi non indulge nel romanzesco di cinematografica ispirazione, strizza l’occhio al lettore per tenerne viva l’attenzione ma intercala, tra un killer ed agente segreto, discussioni su alcuni concetti basilari di chimica e di fisica, su teorie di ecologia e di climatologia, sui dati tecnici dei combustibili alternativi e le loro reali potenzialità.

E non manca di accendere la discussione sui temi più attuali legati all’uso dei combustibili fossili, dall’inquinamento al riscaldamento del pianeta alla fusione delle calotte polari.

Da questo punto di vista l’autore sembra abbracciare il più debole dei due fronti di discussione sul riscaldamento del globo, sostenuto peraltro da scrittori ben più rinomati, come Crichton, o da scienziati ben più qualificati, come Lomborg: il cambiamento climatico c’è e non si discute, ma sulle cause e sulle conseguenze il dibattito tra gli studiosi è tuttora aperto, a dispetto dei molti luoghi comuni.

Ma allora il ghiaccio del poli si sta sciogliendo oppure no?

Il livello dell’acqua del mare si sta alzando oppure no?

E l’anidride carbonica è davvero così drammaticamente fondamentale nel processo di regolazione termica del pianeta, come dicono tutti?

E il petrolio poi: ma trent’anni fa non si diceva che sarebbe finito tutto prima del duemila?

E perché con tutti gli sforzi fatti per cercare di risolvere il problema ci ritroviamo ancora adesso, trenta anni dopo, a dipendere totalmente dal petrolio?

Non siamo stati capaci di cambiare, non ce lo hanno permesso, o forse non lo volevamo?

 

È tra le spine di queste domande che l’autore annoda la trama del suo romanzo con un filo conduttore che lega Nizza, Oslo e San Diego con il clima, le fonti di energia e le loro applicazioni.

 

 

 

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